gezroc
GEZ vs  ROC

Da quando ho iniziato a suonare ho sempre trovato il mondo diviso in due: da una una parte i Rockers, dall’altra i Jazzisti.
I primi, fieri del loro look, dell’energia che sprigionano e schifati dai Jazzmen che reputano “unabandadifinocchi”.
I secondi fieri della loro sapienza, della cultura che sprigionano e schifati dai Rockers che considerano banali e tamarri.
Fra loro nessuna comprensione e nessun ripensamento, poca comunicazione o compromessi; chi appartiene ad una delle famiglie non sfiora mai quell’altra, sarebbe una vergognosa frattura con il resto del proprio ambiente. Sto esagerando? No, e lo sapete tutti bene.
Basta osservare una qualsiasi bacheca di annunci e tutto è chiaro: Gruppo verde con tendenze verdi cerca batterista verde appassionato di musica verde per repertorio verde; caspita! una bella prospettiva artistica!!! Ma non è meglio fra i puristi del Jazz che invece puntano su formazioni ugualmente omogenee fondate sul livello tecnico dei singoli e non sulla forza di formazioni complementari.
La mia “sfortuna” è stata quella di non appartenere a nessuno dei due gruppi. La cosa non era voluta, ma io ho sempre frequentato per lavoro entrambi gli schieramenti pensando da esterno, che il tempo avrebbe pacificamente riunito quella che sembrava una moda passeggera; niente da fare… siamo nel 2011 e ancora vedo distinte le due trincee.
Lo scontro diventa quasi fisico quando nascono forzate convivenze sotto lo stesso contratto; in un tour infatti, è facile incontrare musicisti di opposte fazioni che cercano, nel possibile, di mostrare un reciproco rispetto… non riuscendoci.
La ritmica normalmente proviene dal pop, i chitarristi spesso sono dei rocker estremi con tanto di pedaliera a due piani e mega-marshall imperiale, ma già il tastierista è uno più educato e precisino ed è comune sentirlo studiare Jazz e mostrare la sua sapienza con incredibili progressioni di accordi piazzati apparentemente per caso durante le prove.
Se esiste anche un fiatista poi, state certi che è un gezz-man e cercherà subito una stretta alleanza col pianista esternando, ad ogni sound-check, tutta una serie preordinata di temi, o sedendosi al piano per mostrare che …anche lui… “sà”.
L’antipatia fra le parti sorge spontanea: al primo accenno di standard il chitarrista che passa tutto il tempo a regolare livelli e provare suoni si stressa e boicotta tutto con la sua potenza di fuoco; i batteristi ci frullano sopra e i bassisti subito dietro con i loro migliori liks di pollice: …eccolo, è il caos, dove tutti danno fastidio a tutti, ed in breve è guerra.
L’atteggiamento del Jazzman in tour è sempre di scuse, come se dovesse darsi un alibi: “sono qui, ma io faccio tutta’altra musica… sai, ho dei progetti…” Il rocker, forte invece dell’alleanza di tutto lo staff tecnico si crogiola nella sua cultura assolutamente diatonica e spara senza sapere: “il Jazz è facile, basta suonare fuoriscala” e di queste stronzate stereo si riempiono i discorsi a cena, in albergo e durante gli interminabili viaggi.
La cosa triste di tutto questo è che a rimetterci è la musica stessa, vittima di un impermeabilità ad ogni eventuale sviluppo creativo provieniente dal mondo esterno.
Entrambi continuano ad abusare di canoni  e di luoghi comuni che risalgono agli anni 60-70 (se non addirittura precedenti) e che hanno col tempo ucciso la possibilità di vedere nascere nuove tendenze creative; il tutto per salvaguardare una tradizione che ha sì valore culturale, ma non ci è mai appartenuta e che nei paesi stessi di origine non conservano. Sia in Inghilterra che negli States infatti, si continua a sfornare idee nuove e invenzioni formidabili mischiando le esperienze più diverse in band assolutamente eterogenee; gli stessi Police in Italia non si sarebbero mai potuti nemmeno incontrare: bassista jazz, batterista funk-reggae e chitarrista rock-progressive…
Con gli anni ho imparato a stimare una serie di musicisti che stanno al di fuori delle parti e che riuniscono in un mix ottimale quello che anche per me vale come sintesi delle due parti. Normalmente a causarlo è una forma di corruzione nei generi dovuta alle vicissitudini del lavoro stesso di musicista che a volte ti porta nella rassegna Jazz a fare il creativo, e che il giorno dopo ti fa suonare un valzer in balera… La cosa buffa è che talvolta può capitare di trovare più intensità artistica in quel valzer che nel concerto del giorno prima e per questo sono convinto che il genere in sè non sia mai una scelta pregiudiziale, ma lo sia piuttosto lo spessore dei musicisti con cui suoni.
Dalla mia postazione continuo a godermi il combattimento.

Stefano Allegra

www.stefanoallegra.it
info@stefanoallegra.it

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