Come ci succede spesso, è arrivato da un ufficio stampa “con preghiera di diffusione”, un bellissimo articolo su un’intervista a Stefano D’Orazio che dopo tanti anni di carriera lascia i Pooh. L’articolo, comunque molto interessante perchè scrive di un grandissimo artista, lo abbiamo inizialmente scartato in quanto apparentemente “non attinente” al progetto ISI, ma leggendolo… che sorpresa! Sembra scritto apposta per noi. Stefano D’Orazio fa un’analisi accurata della situazione artistica attuale, quella che cerchiamo di spiegare noi di ISI da tempo, cioè che la nuova generazione di artisti non si preoccupa più di fare la “gavetta”, di suonare ovunque e testare sul pubblico “vero” le canzoni appena scritte, ma apre un my space, pubblica 2 o 3 provini fatti in casa e si accontenta… Sono finite “le cantine”, non si studia più la musica (tanto c’è il computer con i loops già fatti) e non si costruisce più un vero progetto, magari con un produttore con cui soffrire insieme ogni nota e ogni frase. E’ da capire quindi perchè i media vogliono solo volti famosi, se non c’è la qualità perchè fare spazio ad un emergente? E’ un argomento complesso, ma la lettura di questa intervista fa capire tante cose, anche la sofferenza di chi non vuole più far parte di questo meccanismo, e lascia i Pooh anche per provare lui stesso a migliorarlo. Meditate ragazzi..se non volete ascoltare noi, ascoltate almeno questo grande artista con 40 anni di successi alle spalle e tante cose da insegnare.
Lo Staff di ISI
…sono finiti i tempi in cui si conquistava il successo palco su palco, in cui la prima preoccupazione era migliorare, diventare bravi per poi cercare di conquistare uno spazio e la fama. Adesso ci sono ragazzi che pensano prima a diventare personaggi, a diventare famosi, poi eventualmente a diventare bravi. Le case discografiche non possono più permettersi di investire su nomi nuovi, radio e tv non cercano esordienti perchè vogliono facce famose. Non è neanche molto giusto: quelli della mia generazione hanno gli spazi a disposizione. Certo, ce li siamo sudati, abbiamo lavorato per arrivare a certi risultati. Ma insistere a tutti i costi sul già visto, sul già conosciuto finisce col chiudere gli spazi a chi comincia, e non va bene. Alla fine, non resta che partecipare a cose come il Grande Fratello o altre trasmissioni del genere dove hai la possibilità di diventare famoso. Inoltre, mi sembra cambiato lo spirito con cui si agisce, vedo molta solitudine. I ragazzini preparano le loro cose al computer, non si confrontano con altri. Non c’è più la cantina, magari fredda d’inverno e rovente d’estate, dove porti le tue idee, le confronti con quelle degli altri che suonano con te, magari ti scontri pure, ma alla fine ottieni qualcosa che è il risultato di uno sforzo di gruppo. Ora sei da solo col tuo computer, e magari con la convinzione di avere tutte le chiavi giuste.
QUANTO CONTA LA CRISI DELLA DISCOGRAFIA TRADIZIONALE E L’IMPATTO DELLA MUSICA NEL WEB?
Conta, perchè è un momento di passaggio: non è ancora morto il vecchio metodo, e non è ancora nato quello nuovo. Ma ci sono altri problemi da tempo. In Italia c’è una sottovalutazione della canzone come fatto culturale. Non c’è un sistema come quello francese, dove le radio sono obbligate a trasmettere una certa quota di produzioni locali, qui le radio mandano in onda quello che vogliono, non c’è nessuna tutela. Lo stesso vale per l’Iva, che è al 4 per cento per il libro, qualunque sia, e al 20 per cento per i dischi. Anche se è un disco di gente come De André, che magari qualcosa ha dato alla cultura di questo paese. Ecco, una delle cose che mi piacerebbe fare è vedere se è possibile portare questi temi all’attenzione della politica.
I TUTTI I SUOI ANNI DA POOH, C’E’ UN EPISODIO O UN MOMENTO “ALTO” CHE RICORDA PARTICOLARMENTE?
Ho avuto la fortuna di aver vissuto molti momenti alti. Forse per non è esatto dire che li ho vissuti, perchè mi sono passati via mentre ero impegnato a suonare in giro, organizzare, parlare con i giornalisti. Molte cose le riscopro a distanza di tempo, magari leggendo i ritagli dei giornali, mi viene in mente: “Ah, ma lì c’ero anch’io”. Adesso stanno scrivendo un libro su di noi e mi sta accadendo proprio questo, mi fanno vedere foto e articoli su cose che avevo quasi rimosso. Per cui, alla fine i momenti alti che mi ricordo davvero sono legati al lavoro, come il tempo passato coi tecnici a montare i palchi.
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Questo articolo è stato inserito il martedì, Novembre 10th, 2009 alle 12:00 nella categoria Senza categoria.
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