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fonte: www.4arts.it articolo di Emiliana Sabia

Sanremo non è ancora iniziato, ma già c’è aria di tempesta. Due giorni dopo le selezioni degli artisti che saliranno sul palco dell’Ariston si scopre che nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di cantanti che hanno la loro buona stella: le grandi majors.

Per il secondo anno consecutivo le 190 aziende discografiche associate ad AFI sono state snobbate ed escluse dalla categoria Giovani. Le aspettative dei produttori discografici indipendenti erano molto alte, visto che ben 22 artisti su 78 erano stati convocati per le fasi conclusive della selezione. Una doccia fredda. Nessuno degli artisti legati all’Afi è stato scelto.

Stessa sorte è capitata ai Big. Solo uno dei cantanti targato Afi calcherà il palcoscenico del Festival più amato e più detestato d’Italia. Sanremo, la città della canzone italiana per antonomasia, trampolino di lancio per nuove ugole, cimitero degli elefanti, ma anche manifestazione dove le etichette contano parecchio, a quanto pare. Se fai parte di un grande giro e hai delle doti allora sei dentro, se hai solo un gran talento ma sei un piccolo pesce, sei fuori dai giri.

Le grandi multinazionali fagocitano tutto e non lasciano che poche briciole alle realtà più piccole, fucine di grandi talenti. Un sistema che punta sulla meritocrazia direi. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Pino Scarpettini, presidente della Fiofa (Federazione italiana organizzazioni festival d’autore) nonché fondatore del gruppo storico dei New Trolls.

Da cosa dipende questa forte discriminazione?

Si può supporre che i giochi siano stati fatti ancor prima di ascoltare qualcosa. Questo è un meccanismo perverso che va avanti da qualche anno e che ha creato un intreccio invalicabile. Le grandi majors arrivano prima e assorbono tutto. Non c’sé spazio per le piccole produzioni indipendenti.

Esiste una soluzione per rimediare a questo “meccanismo perverso”?

La soluzione è difficile perché il sistema è ben consolidato. Aggiungerei poi un altro aspetto importante, che è quello che tutte le televisioni, pubbliche e private, danno spazio solo alle grandi produzioni. Ci sarebbe bisogno di un regolamento come quello presente in Francia.

Lei ha delle proposte per dare spazio alle piccole produzioni e agli artisti penalizzati?

Sono già diversi anni che sto pensando con altre associazioni di creare un festival alternativo. Tutte le manifestazioni, compresi i festival che abbiamo organizzato sono anche essi fortemente penalizzati da questa situazione. Prima i discografici partecipavano alle nostre manifestazioni, ascoltavano, reclutavano gli artisti per le loro etichette e facevano contratti. Con questo meccanismo anche questo discorso è venuto meno. Adesso trovano i cantanti, gli fanno fare un disco, ma le strade dopo si chiudono se questi ragazzi non finiscono in un talent show come X Factor o Amici. Ci vogliono molti soldi. Solo per fare qualche passaggio in tv servono 50mila euro all’incirca.

Secondo lei dunque servirebbe anche un intervento legislativo?

Assolutamente. Con l’associazione Amici della Musica ci sono due progetti in cantiere: uno per il sostegno della musica popolare italiana e l’altro per la regolamentazione degli artisti. E poi c’è tutto da ricostruire anche a livello di formazione perché in Italia non esiste a livello scolastico. È necessario costruire una cultura di base.

Da quello che emerge, i ragazzi che non sono appoggiati da multinazionali, non hanno molte possibilità di mettersi in luce. Lei consiglierebbe loro di lasciar perdere?

Chi ha grande motivazione va incentivato, ma la lotta va fatta insieme. Nel nostro ultimo consiglio direttivo ho coinvolto grandi artisti per unire le forze, perché siamo stati sempre divisi. Ed è proprio questo uno dei motivi per cui il settore sta morendo. I politici dicono che non ci sono numeri a livello di finanze, ma non è così perché l’indotto lavorativo è enorme e girano miliardi. Si tratta di unire le forze anche con i grandi artisti che si dimostrano sensibili a questo argomento. Pensi che è da 5 anni che non andiamo in televisione. Le multinazionali hanno completamente monopolizzato il settore. Ora finalmente hanno preso coscienza del problema. Serve il massimo dell’impegno per dare spazio anche a chi fa di questo lavoro una professione!




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