COSTRUIRE IL TESTO PER UNA CANZONE
Di Pier Luca Cozzani
Parte seconda
-Canzoni e poesie
-Infrangere le regole
Nel post pubblicato sul sito di ISI il 13 febbraio abbiamo parlato dei mattoni necessari alla costruzione delle fondamenta di un testo musicale. Abbiamo parlato di sonetti, quartine, rime, assonanze e consonanze: Tutte cose sacrosante, atomi, mattoni indispensabili per cominciare a scrivere testi per la forma canzone…Ma non sufficienti! Mi metto nei panni del lettore/musicista che deve sorbirsi l’ennesima quartina in rima, per carità ben scritta, per carità ben congegnata, piena di belle immagini e impreziosita da qualche metafora fortunata, ma tutta ignobilmente, stancamente, irrimediabilmente… Noiosa!
Vi ricordo, e lo ricordo a me stesso, che stiamo parlando del mestiere, o arte, del paroliere. Ora, che cosa vogliamo dare in pasto al bravo musicista che si impegna a rendere cantabili le nostre parole? Una filastrocca? Una poesia? Nooo!!! Perché le canzoni NON sono poesie!
Bene, nell’attesa che qualcuno mi massacri, spero solo verbalmente, per le mie parole, voglio farmi scudo delle dichiarazioni di due personaggi giganteschi: Uno si chiama Giulio Rapetti, in arte Mogol. L’altro Francesco De Gregori. Cominciamo da quest’ultimo: L’eroe di “Rimmel” e “Generale” ha più volte dichiarato di voler essere giudicato e ricordato come cantante, giammai come poeta, in quanto la forma-poesia differisce dalla forma-canzone per metrica, per musicalità delle parole, per uso delle sillabe, per il peso dato all’uso delle consonanti, per il semplice fatto che un testo scritto per la canzone è costretto nella “gabbia” delle battute musicali. Viceversa, ed entro certi limiti, nella forma canzone si ha la libertà di usare le parole con maggiore libertà rispetto alla forma poetica. Un esempio qualsiasi: Patti Smith che scrive un ritornello di successo usando in pratica una sola parola: “Gloria”, ripetuta per non so quante battute… In quale poesia potrebbe funzionare?
Per quanto riguarda Mogol, chiunque abbia partecipato ad una sua lezione al C.E.T. o lo abbia sentito parlare della differenza tra la forma canzone e la poesia, potrà facilmente confermare le mie parole. Ora, sempre aspettandomi le verbali bastonate, di cui dicevo poc’anzi, vorrei diffidare chi mi legge a scrivere una poesia e darla in pasto al solito povero musicista che dovrebbe renderla cantabile… Gli provocherebbe quanto meno un eritema, ed attirerebbe su di sé gli improperi del poveretto. Molto meglio, se possibile, scrivere insieme. Ascoltare un giro di accordi e cercare di capire dove ci porta quella melodia, quel ritmo, buttare giù una frase e parlarne col musicista, renderlo partecipe, fargli annusare la stessa aria che gironzola nelle nostre meningi (per chi scrive testo e musica, chiaramente ciò che dico in queste ultime righe non ha rilevanza)
E allora, di cosa stiamo parlando? Di far proprie, per iniziare, le forme metriche della poesia classica ma, una volta introitatele, di trasgredirle, di plasmarle, di renderle adatte alla melodia che ci gira in testa… Abbiamo fatto una bella quartina? Non facciamone subito un’altra uguale, scriviamo un distico (due righe). Così il musicista potrà cambiare gli accordi, far girare la melodia. Spezziamo il ritmo. Scriviamo una parola che duri un’intera battuta, così lasciamo anche il tempo all’ascoltatore di ascoltare qualche nota, di percepire la bellezza (o la bruttezza…) dell’arrangiamento. Cerchiamo di non “infarcire” di parole un testo musicale. Proviamo a scrivere una cosa e costringiamoci a togliere un terzo delle parole che abbiamo scritto. Chiediamoci sempre se quella frase che abbiamo scritto, che ci piace tanto, non può essere detta in modo più semplice e più efficace. Ascoltiamo il suono delle sillabe, ragioniamo sul fatto che una parola che comincia con una consonante viene percepita come più gradevole da chi ascolta rispetto ad una che comincia per vocale… Avete presente che differenza c’è tra cantare:
“Bell’amore bell’amore… e
“Amore mio amore mio….?
Mentre scriviamo, sforziamoci di sentire le nostre parole come un suono, non come una riga di word… Facciamo un atto di coraggio e usiamo in modo creativo una sgrammaticatura… Ivano Fossati, da molti giudicato come il più bravo scrittore di testi italiano, che scrive:
“Pane e coraggio, commissario, che c’hai il cappello per comandare…”
Se è il caso, usiamo una parola dialettale per dare maggiore enfasi a ciò che diciamo…
“Il capitano non tiene mai paura (De Gregori)
“Nun chiagne Maddalena, Dio ci guarderà (De andré)
Usiamo (Con parsimonia) frasi forti. Sempre De André: “Dio ci apparirà da dietro la collina, con i suoi occhi smeraldini di ramarro”
Mi perdoni chi è già esperto nella composizione di testi, mi perdoni chi è in grado di insegnarmi qualcosa: Stiamo parlando dei primi passi necessari per assemblare il testo di una canzone… Ricordo a chi mi legge e a me stesso che sto scrivendo sul sito di ISI, e che quanto scrivo ha l’intento, e la necessità, di aiutare chi è alle prime armi. Perché…Questa è ISI! Una comunità virtuale dove si cerca di aiutarci a vicenda per raggiungere quello scopo comune che si chiama: Scrivere e fare Musica
Come sempre, accetto critiche e commenti. Un caro saluto
Pier Luca Cozzani
per contatti: luluboy@alice.it
www.myspace.com/450044897